Con il termine “dismetabolismo” si intende l’alterazione del metabolismo di un individuo. Essendoci numerosi processi metabolici a regolare finemente il nostro organismo, il dismetabolismo può essere di varia natura a seconda del processo compromesso.

I più classici dismetabolismi sono legati al peggioramento del quadro lipidico, glicemico e dell’acido urico. Pertanto, al nostro organismo come una macchina finemente perfetta, per mantenerla tale è importante individuare e, in caso correggere, il prima possibile le alterazioni metaboliche presenti, in quanto, se non si interviene anche solo con il cambiamento di stile di vita, il paziente può intercorrere in un elevato rischio di danneggiamento dell’apparato cardiovascolare.

ALTERAZIONI METABOLICHE

Quasi sempre nelle fasi iniziali, tutte le alterazioni metaboliche non si associano a nessun tipo di sintomi. L’unico modo per individuare queste disfunzioni è la prevenzione. Prevenzione di che genere? Ovviamente si parla del classico controllo delle analisi del sangue annuale, che aiuta a individuare subito anche i più flebili campanelli di allarme.

Dismetabolismo lipidico
Per il sistema cardio metabolico l’alterazione del quadro lipidico rappresenta il più importante campanello di allarme. Quando si parla di quadro lipidico, l’ambiente medico si riferisce soprattutto ai livelli sanguigni di alcune specifiche sostanze: trigliceridi e colesterolo. Le nuove linee guida americane ed europee sulla gestione delle dislipidemie stabiliscono il valore di 150 mg/dl come soglia per i trigliceridi ed anche come obiettivo terapeutico. Per quanto concerne il colesterolo, si può parlare di ipercolesterolemia quando si presentano differenti quadri: elevati livelli di colesterolo totale, elevati livelli di lipoproteine a bassa densità (colesterolo LDL) o bassi valori di lipoproteine ad alta densità (colesterolo HDL). [1]

Infatti, è molto importante analizzare il colesterolo non solo nei suoi livelli plasmatici totali ma anche quello trasportato dalle lipoproteine. I valori soglia da considerare dipendono strettamente dai fattori di rischio coesistenti nel paziente, come ad esempio diabete, ipertensione, sovrappeso e obesità, fumo di sigaretta, familiarità etc., e in linea generale si raccomanda di mantenere i livelli di colesterolo totale inferiori a 200 mg/dl, mentre per quanto riguarda il colesterolo LDL i valori soglia si basano sulla valutazione del rischio cardiologico (da < 115 mg/dl per le categorie di rischio basse a <70 mg/dl nella categorie di rischio alto).

Le categorie di rischio vengono stabilite sul punteggio SCORE, che stabilisce il rischio cardiovascolare totale considerando età, sesso, abitudine al fumo, pressione arteriosa e livelli lipidici. [2]

Dismetabolismo glucidico
La glicemia rappresenta uno dei principali parametri che più facilmente viene compromesso a seguito di una dieta squilibrata. Nella concezione comune si associa l’alterazione della glicemia immediatamente alla diagnosi di diabete, ma esistono degli stati intermedi, precedentemente definiti come pre-diabete e ad oggi identificati come stati di disglicemia. I pazienti in stati di disglicemia vengono identificati sulla base di tre parametri [3]:

  • Alterata glicemia a digiuno (o impaired fasting glucose, IFG), caratterizzata da valori tra 100 e 125 mg/dl
  • Ridotta tolleranza al glucosio (impaired glucose tolerance, IGT), ossia glicemia a 2 ore dopo carico di glucosio tra 140 e 199 mg/dl
  • Emoglobina glicata (HbA1c) tra 6,00 e 6,49%

Il paziente in stati di disglicemia è un paziente che deve essere sottoposto a particolare attenzione in quanto è un individuo ad alto rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2. Si stima, infatti, che il 26% dei pazienti con diagnosi di alterata glicemia a digiuno e il 50% di quelli con diagnosi di alterata tolleranza al glucosio sviluppano diabete mellito di tipo 2 nei successivi 5 anni dalla prima diagnosi. [4]

La patologia diabetica non è l’unica a poter colpire questi pazienti, essi, in effetti, possiedono anche un maggior rischio di eventi cardiovascolari rispetto agli individui con parametri normali di glicemia. Spesso questi stati disglicemici non sono facilmente associabili a sintomi importanti, rimane quindi di rilevanza la prevenzione attraverso analisi del sangue routinarie.

A sottolineare questo aspetto si possono analizzare i dati pubblicati dal Dott. Brunetti e colleghi nello studio “Prediabetes, undiagnosed diabetes and diabetes risk in Italy in 2017-2018: results from the National screening campaign in community pharmacies”. [5] I risultati dello studio mostrano come su 94.076 volontari a digiuno, di età >20 anni, il 39,9% riscontravano valori di IFG >100 mg/dl, rientrando nello stato disglicemico.

Obesità e sovrappeso
L’obesità, ad oggi, è una delle principali sfide che la medicina moderna si trova ad affrontare. La sua prevalenza, soprattutto nei paesi sviluppati, sta crescendo in maniera esponenziale, tanto da indurre l’Organizzazione Mondiale della Sanità a definire l’obesità come l’epidemia del XXI secolo.

Recentemente, la stessa organizzazione ha definito l’obesità come una malattia cronica al pari di altre, quali il diabete, causa da uno squilibrio energetico tra calorie introdotte e calorie consumate. Tutto ciò è la conseguenza di due aspetti: un aumento dell’intake di cibo ad alto contenuto energetico, ricco in grassi e zuccheri e una riduzione dell’attività fisica praticata. In Italia, si registrano 25 milioni di persone in eccesso ponderale, di cui quasi un terzo con diagnosi di obesità.

I dati pubblicati relativi al 2017 sulla situazione italiana hanno mostrato un aumento di eccesso ponderale in qualsiasi fascia di età nel sesso maschile. Nelle donne, invece, l’andamento generale è un aumento della percentuale di casi in eccesso ponderale che si accentua soprattutto se si prendono in considerazione le fasce di età tra i 18 e i 24 anni e quella di donne con anni superiori ai 64. C’è da sottolineare che queste condizioni non si presentano omogeneamente sul territorio italiano. Le regioni del Sud Italia registrano una percentuale di eccesso ponderale maggiore rispetto a quelle del Nord, sia nella popolazione adulta che in quella pediatrica. [6]

    MALATTIE METABOLICHE: QUANDO LE ALTERAZIONI DIVENTANO PATOLOGIA

    L’identificazione di stati iniziali e borderline di alterazioni metaboliche permettono di intervenire immediatamente sul paziente quando ancora la situazione è reversibile e di evitare, o quanto meno rallentare, la progressione verso stati patologici veri e propri.

    Diabete
    Una delle malattie croniche-degenerative più diffusa al mondo è sicuramente la patologia diabetica, diagnosticata in presenza di sintomi solo con la glicemia casuale ≥ 200 mg/dl, o altrimenti con la presenza di due delle seguenti condizioni [3,7]:

    • Glicemia a digiuno ≥ 126 mg/dl (almeno 8 ore dall’ultimo pasto)
    • Glicemia ≥ 200 mg/dl dopo 2 ore da carico orale di glucosio (75 g)
    • Emoglobina glicata ≥ 6,5%

    Gli ultimi dati pubblicati attestano un incremento massiccio di diagnosi di diabete nella popolazione italiana. Nello specifico, oltre 3 milioni e mezzo di italiani nel 2019 hanno dichiarato di essere diabetici. Si parla del 5.8% dell’intera popolazione a presentare suddetta patologia. Rispetto ai dati del 2000, la percentuale di diabetici italiani è aumentata del 60%. La giustificazione a questi dati viene attribuita all’aumento dell’età media e, soprattutto, all’incremento del numero di anziani, che risultano i più colpiti da questa patologia. Un anziano su tre, infatti, riceve una diagnosi di diabete di tipo 2. Se non trattato adeguatamente il diabete rappresenta una delle principali concausa di decessi e la principale causa iniziale in 23 mila casi di morte. Il ruolo di concausa di decesso è stato ancor più confermato con l’arrivo della pandemia da SARS-CoV-2, dove su circa 5 mila casi di decessi con positività al virus registrati fino al 25 maggio 2020, si è verificata la presenza di diabete nel 15% dei casi. [4]

    Sindrome Metabolica
    Data la stretta connessione tra quadro lipidico, glicemico e sistema cardiovascolare non è inusuale che più alterazioni possano presentarsi contemporaneamente. Nel 1999 la WHO, World Health Organization, coniò il termine di sindrome metabolica per definire un paziente con almeno tre delle seguenti alterazioni: obesità centrale o addominale (calcolata attraverso la misura della circonferenza vita), bassi valori di colesterolo HDL (uomini < 40 mg/dl; donne < 50 mg/dl), alta pressione sanguigna (> 130/85 mmHg) e alta glicemia a digiuno (> 100 mg). [8] In Italia, nel 2016, si è stimata un’elevata presenza di questa sindrome con un 23% nella popolazione maschile e un 21% in quella femminile. La problematica maggiore dei pazienti con sindrome metabolica è rappresentata dall’elevato rischio cardiovascolare. Infatti, in presenza di tale sindrome il rischio di eventi cardiovascolari avversi aumenta del 50% circa rispetto ai pazienti che non presentano tale problematica. [9]

    Complicanze cardiovascolari
    La malattia cardiovascolare aterosclerica rappresenta la prima causa di morte e disabilità nei paesi ad alto sviluppo socio-economico. Questa malattia infiammatoria è strettamente correlata a patologie quali obesità e diabete, ma soprattutto a stati di iperlipidemie con particolare riferimento ai livelli di colesterolo. Questa stretta correlazione viene confermata da numerosi trials clinici dove la terapia ipolipidemizzante per colesterolo LDL comporti una riduzione della mortalità sia in generale che per cause cardiovascolari. Come per la sindrome metabolica, anche la patologia diabetica fa raddoppiare il rischio di patologie cardiovascolari rispetto a individui sani, come patologia coronarica e attacco ischemico. Il rischio si manifesta più alto soprattutto nel sesso femminile e nei pazienti giovani. Il rischio è dipendente anche dalla copresenza di altre condizioni oltre al diabete. [1]

    TRATTAMENTO DEI DISMETABOLISMI

    Tutte le linee guida italiane e internazionali concordano sulla prima tipologia di trattamento per i pazienti affetti da alterazioni metaboliche, indistricabile in due punti fondamentali: cambiamento del regime alimentare e pratica di attività fisica aerobica per un minimo di 150 minuti a settimana [7,10]. Accanto a questi interventi sullo stile di vita, nel caso di pazienti dismetabolici non ancora con patologia conclamata, una delle possibili strategie terapeutiche è quella di affiancare l’utilizzo di sostanze nutraceutiche. Questa strategia viene in aiuto soprattutto quando la compliance verso l’intervento dietetico non è ottimale.

    Numerose sono le sostanze utilizzate nell’ambito della nutraceutica, tra cui inositoli, gymnema sylvestre, zinco, berberina, riso rosso fermentato. Gli inositoli, soprattutto nelle forme stereoisomeriche di myo-inositolo e d-chiro-inositolo, sono oggetto di numerose pubblicazioni che attestano il loro ruolo di insulino-sensibilizzanti. Nello specifico, nel loro rapporto plasmatico 40:1 (rapporto myo:d-chiro) aiutano soprattutto nell’abbassamento dei livelli glicemici e nel miglioramento dell’insulino-resistenza, spesso associata [11]. Inoltre, recenti studi hanno dimostrato un effetto migliorativo anche sul quadro lipidico, con particolare riferimento ai trigliceridi – colesterolo totale e LDL, in associazione ad alfa-lattoalbumina in donne insulino-resistenti e in sovrappeso [12].

    Effetti sui parametri glicemici sono dati anche dalla gymnema sylvestre e dallo zinco. La prima è ampiamente utilizzata nella medicina ayurvedica in quanto in grado di ridurre l’assorbimento intestinale degli zuccheri [13], mentre il secondo viene riconosciuto come importante attore del pathway insulinemico[14].

    Parallelamente si posizionano riso rosso fermentato e berberina, che agiscono come ipocolesterolemizzanti. Dal primo si estrae la monacolina K capace di bloccare la sintesi di colesterolo, inibendo uno dei suoi enzimi chiave, la idrossimetilglutaril CoA reduttasi, mentre la seconda promuovendo un aumento dei recettori per il colesterolo LDL [15].

    BIBLIOGRAFIA

    [1] Dislipidemia e prevenzione secondaria del rischio cardiovascolare: dalle linee guida alla pratica clinica. Mattesini A. et al. G Ital Cardiol. 2019
    [2] Linee Guida per il trattamento delle dislipidemie e la prevenzione della malattia cardio-vascolare. Jellinger P.S. et al. Endocr Pract. 2017
    [3] Standard Italiani per la cura del diabete mellito 2018. AMD – SID. 2018
    [4] 14TH Italian Diabetes Barometer Report 2021. Cucinotta D. et al. Diabetes Monitor Journal. 2021
    [5] Prediabetes, undiagnosed diabetes and diabetes risk in Italy in 2017-2018: results from the first National screening campaign in community pharmacies. Brunetti P. et al. J Public Health. 2021
    [6] 1° Italian Obesity barometer Report
    [7] Documento di consenso su un algoritmo di trattamento integrato per il diabete mellito di tipo 2 (Raccomandazioni operative 2019). Garber A.J. Et al. Endocr Pract. 2020
    [8] Metabolic syndrome and cardiovascular disease. Qiao Q. et al. Ann Clin Biochem. 2007
    [9] https://www.epicentro.iss.it/diabete/epidemiologia
    [10] Linee guida di pratica clinica dell’America Association of Clinical Endocrinologists e American College of Endocrinology: Trattamento Medico dei pazienti con Obesità. Garvey W.T. et al. Endocr Pract. 2016
    [11] Inositol in polycystic ovary syndrome:restoring fertility through a pathophysiology-based approach. Laganà A.S. et al. Trends Endocrinol metab. 2018
    [12] A multicenter clinical study with myo-inositol and alpha-lactoalbumin in Mexican and Italian PCOS patients. Hernandez Marin I. et al. Eur Rev Med Pharmacol Sci. 2021
    [13] Comprehensive, review on phytochemicals, pharmaoclogical and clinical potentials of Gymnema Sylvestre. Khan F. et al. Front Pharamcol. 2019
    [14] Zinc’s role in the glycemic control of patients with type 2 diabetes: a systematic review. De Carvalho G.B. et al. Biometals. 2017
    [15] Position statement su “Nutraceutici per il trattamento dell’ipercolesterolemia” della Società italiana di Diabetologia (SID) e della Società Italiana per lo Studio dell’Aterosclerosi (SISA).

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