Le patologie tiroidee rientrano tra le più comuni malattie del mondo endocrinologico e ciò è valido anche in particolari fasi della vita come ad esempio la gravidanza.
Si stima, infatti, che il 15% delle donne in attesa di un figlio abbia una diagnosi di patologia tiroidea, tra le quali le patologie subcliniche rappresentano quelle con la prevalenza più alta. [1]
La gravidanza è un momento molto delicato in cui gli assetti ormonali della mamma vengono modificati per accogliere il nascituro e accudirlo durante la sua crescita. Questo cambiamento coinvolge anche la ghiandola tiroidea, sottoposta a un grosso sforzo per sopperire fino alla 12° settimana di gestazione e successivamente supportare la tiroide del feto.
Gravidanza e carenza iodica
Dovendo aumentare la produzione di ormoni tiroidei, il primo cambiamento a cui è sottoposta la madre è sicuramente la maggior richiesta di iodio, con un apporto giornaliero richiesto pari a 250 mcg. [3]
L’Italia è stata per lungo tempo una nazione considerata non iodosufficente, ma dall’ultimo report pubblicato dall’Osservatorio Nazionale per il Monitoraggio della Iodoprofilassi relativo al periodo 2015-2019 è emerso come tale insufficienza sia stata compensata e a oggi il nostro paese possa essere considerato in fase di iodosufficienza.
Se si entra nello specifico, però, da questo stesso report si evince come la gravidanza sia in fase di miglioramento, anche se rappresenta ancora un periodo ad alto rischio di carenza iodica. Infatti, la prevalenza di valori di TSH neonatale, che indicano indirettamente la situazione iodica delle donne in gravidanza, è ancora al di sopra del valore soglia del 3%, ma dall’altra parte, si sta osservando una tendenza in diminuzione (6, 10% nel 2010 contro 4,90% nel 2018). [2]
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